LA VENAFRO IMMERSA NEGLI OLIVI: DA MONACHETTI A NOLA
E' vanto e ricchezza l'olivo venafrano per Eugenio Capaldi.
"E per parecchi chilometri, in ambedue i lati di Venafro, lungo le falde dei monti si spande questo aereo colore improntato alla terra.
L'olivo Venafrano, pel fusto e per la estensione dei rami gareggia con la quercia . Se in Italia non è stato Venafro la prima, come si dice , a coltivarli, è certo che nessun'altra città può provarne la precedenza, e si ha buon testimone che da Venafro gli olivi fossero stati portati nel mezzodì di quella che ora è la Francia.
Quei boschi di olivi di Venafro nei tristi tempi vernali offrono lavoro e facile guadagno a ogni classe di persone e soprattutto a persone ordinariamente non addette a campestri lavori. Contro il gelo, le tempeste e le mani ingorde e audaci del villano, si provvedono come meglio può; e quei boschi durano e crescono rigogliosi: Il vero Dio voglia salvarli da qualche decreto dittatoriale e da chi non ha né sa che si fare".
La notevole estensione dell'area coltivata ad olivo si era conservata fino alla fine del secolo scorso come traspare nella accurata Monografia fisica - economica - morale di Venafro del 1877, scritta del Primicerio Francesco Lucenteforte :
"A piè della montagna sinnalza al nord - ovest della valle, giace Venafro , la quale domina la sottoposta pianura. Un forestiere, che per la prima volta vi giunge, non può non restare ammirato al bel panorama che allo sguardo gli si presenta. Egli vede due selve di robusti ulivi, che a dritta ed a sinistra della Città verdeggiano lussuriosi lunghesso le falde del monte dal villaggio di Ceppagna a Pozzilli, per l'estensione di oltre a nove chilometri su due; osserva ben' ordinati orti ed abbondanti acque, che, dopo aver dato la mossa a diversi mulini discendono a formare il grazioso fiume di S. Bartolomeo ".
Gennaro Nola in un saggio sull'olivicoltura venafrana del 1936 sottolinea:
"Un bosco di olivi circonda per tre lati i fabbricati della Città di Venafro, si da offrire al forestiero uno spettacolo di bellezza e serenità, specie quando tutto questo folto bosco di olivi, sconvolto dal vento, appare allo spettatore quale un magnifico mare d'argento".
VIAGGIO A VENAFRO, DAL MARCHESE DE SALIS A FRANCESCO IOVINE
Nell'anno 1789, il Marchese Carlo Ulisse De Salis visita il Regno di Napoli.
"Da Isernia proseguii il mio viaggio lungo il Volturno, attraverso campi di grano, vigneti, boschi di quercie e colline rivestite di cespugli, alla cui sommità ha sede generalmente un villaggio. Siccome non vi esiste ponte, dovetti traghettare il Volturno, che qualche volta cresce tanto da impedire ogni comunicazione, ed arrestare temporaneamente il traffico. Subito dopo il passaggio del fiume, raggiunsi Venafro, piccolo borgo di 3000 anime, appartenente alla principessa di Avellino. Nel limitato territorio di Venafro si produce molto grano, vino, legumi, frutta; ma è importante più d'ogni altro, la qualità e la quantità dell'olio che vi si ricava annualmente. L'olio di queste terre era famoso anche al tempo dei Romani, ed ancora oggi vi sono le migliori qualità di alberi di ulivi, fra cui tiene il primato l'oliva Sergia, che il Dr. Presta di Gallipoli ritiene essere la Licinia citata da Plinio".
Nell'anno 1861, soldati milanesi furono a Venafro per manifestare e accrescere fratellanza, nel nuovo regno.
" Davanti ad una valle piana nel perimetro di più di 20 miglia che dilatasi a guisa di stella. E attorno, fin dove l'occhio può giungere, e lo spazio è molto, si rallegra lo sguardo alla bellezza di tante olive, che segno di pace , pare dovrebbe stabilire fra il Creatore e la creatura un patto d'amore indissolubile".
"Venafro s'innalza sul dosso del monte S. Croce, o poco meno di metà altezza, ove dominasi un vasto spazio; ma dove però meglio si domina tutta la provincia di Terra di Lavoro è dal vertice dello stesso S. Croce , il quale per la sua altezza offre uno di quegli spettacoli cui Dio concesse di veder continovo a chi nato fra i monti pare
s'innalzi più leggiero non contaminato dal lezzo delle grandi città. Cosa incantevole a vedersi in quelle pianure e su quei monti è la meravigliosa coltura degli olivi che i Venafrani, introdussero fin dai tempi di Tarquino il Prisco, mentre in Italia ancora non era conosciuta"(Carlo Tedeschi).
Gli uliveti pedemontani hanno interessato lo scrittore molisano Francesco Jovine che dedica parole dolcissime al sito e alle piante .
"Campi grassi, irrigui, felici di vegetazione fittissima; strade dritte, percorse da agili carri dipinti vivacemente, cavallini adorni di fiocchi e di bubboli sonori. Su ai margini della piana la campagna tende ai monti prossimi con pigra dolcezza di declivi e di prode folte di ulivi dalle chiome interamente verdi, fronzute; le piante numerose in bell'ordine fanno bosco, hanno una cordiale solidarietà di vita. Ai suoi orci affluisce ancora, come duemila anni fa, l'olio giallo e denso come miele che piaceva a Cicerone".
L'OLIO VERDE DI ORAZIO
"Piaccia al cielo che Tivoli, fondata dai coloni argivi, sia la mia dimora nella vecchiaia e a me stanco segni il termine dei viaggi per mare e terra e delle fatiche militari. Se di lì le Parche avverse mi terranno lontano, io mi avvierò verso il fiume Galeso, diletto alle lanute greggi, e verso le campagne, su cui regna lo spartano Taranto: Quel cantuccio a me sorride sopra ogni altro della terra dove il miele non è inferiore a quello dell'Imetto e l'oliva gareggia con quella verdeggiante di Venafro ivi offre il cielo lunga la primavera e tiepido l'inverno" e l'Aulone, caro al fecondo Bacco, non invidia l'uva falerna".
Giovanni Presta, autore del settecento, ha posto molta attenzione al termine " viridique " e lo ritiene posto non a caso; in una nota presente in un suo libro riporta:
"non era Orazio un poeta da dare così per caso l'aggiunto di verde all'uliva, da cui traevasi de'suoi tempi il nostro olio: Viridique certat bacca Venafro".
Non dimostra avere dubbi il Presta sul fatto che a Taranto e a Venafro si produceva "l'oleum viride" o come lui preferisce chiamarlo semionfacino:
" In Ottobre in fatti tra noi addiviene, ch'elle (le olive) siano così vajolate, come il Columella le pretendeva, allorché volevasi corle, per fabbricare dell'olio fine, che li Romani dicevano oleum viride, oleum strictivum, oleum ad unguenta, qual soprattutto era l'olio celebratissimo dell'uliva Liciniana delle campagne di Venafro, sebbene la differenza del clima, e del sito ciò colà ritardasse sino al Novembre".
Noi non abbiamo autore, che apertamente assicuri, che anche tra i Salentini si fabbricasse l'olio onfacino, ma poiché Orazio del nostro olio cantò "viridique certat bacca Venafro ", è a desumersi che intendesse dell'onfacino, poichè non era egli un poeta da dar l'aggiunto di verde ", viridique ", così a caso, e senza motivo".
LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO DI VENAFRO ATTRAVERSO I MILLENNI
"In un terreno grasso e caldo pianta olive da condire: radio maggiore, sallentina, orchite, posea , sergiana, colminiana, albicera, quella di preferenza che in quei luoghi diranno essere la migliore. Pianta quest'oliva a intervalli di venticinque o trenta piedi. Nessun altro campo sarà buono a metterci l'oliveto, tranne quello che sarà rivolto verso il favonio e ben esposto al sole. Se un campo sarà alquanto freddo e magro, bisogna piantarvi l'oliva liciniana: se invece la pianterai su terreno grasso e caldo, l'olio sarà cattivo, l'albero perirà per eccesso di produzione e lo rovinerà il muschio rosso".
M.T.Varrone e Plinio il vecchio ribadiscono l'adattamento e la preferenza della licinia ad un suolo povero e freddo:
"Nel suolo piuttosto freddo e scarso,bisogna piantarci l'olivo di Licinia. Se lo metterai in un luogo grasso e caldo, da' olio cattivo, la pianta perisce per eccessiva fecondità e s'imbratta d'un rosso che la intristisce" e "venendo inoltre attaccato dal musco e dalla ruggine ", specifica Plinio. Quest'ultimo, d'altro canto nella sua Naturalis historia (XVII, 31) afferma: "nel territorio di Venafro il terreno ghiaioso è adattissimo alla coltivazione degli ulivi"(glareosum oleis solum aptissimum in Venafrano).
Il Marchese Carlo Ulisse De Salis nel suo Viaggio nel Regno di Napoli del 1789 precisa che a Venafro "Nelle annate di buon raccolto, si ricavano più di 70.000 staia di olio, che viene venduto a 16 carlini lo staio. Gli oliveti da me esaminati si trovano tutti in floridissime condizioni, ed osservai che era buonissima la potatura degli alberi".
Il Lucenteforte, invece, già alla fine dell'Ottocento, indugiava sulle errate pratiche colturali, specificando: "I proprietari di uliveti ritenuti dalla lentezza onde l'ulivo cresce, e dal dispiacere di perdere il frutto che avrebbero avuto da' rami tagliati, non sanno indursi a potare un ulivo se non quando lo veggono mal ridotto e sparuto. Ma allora sono costretti, loro mal grado, a tagliare de' rami grossi; e poiché veggono che la piaga fatta non rimargina, ma diviene cancerosa da restarne roso il legno, e concavo il tronco, più duri nemici divengono della potagione".
Il danno procurato con la cattiva potatura è espresso anche in versi :
Guarda il tronco
Tutto cavo! Perché? Vedine il taglio
Del grosso ramo, e qual qui stava larga
Profonda ed insanabile ferita
Che cancrenosa addivenuta a poco
A poco il legno ha roso,e tanto
Che serba appena omai segno di vita
Quell'aspetto perché languido tutto?
Ancora, il Lucenteforte nella sua Monografia di Venafro (1877), fa una disamina della disposizione degli olivi"E l'aspetto d'un ombrosa foresta hanno appunto gli oliveti Venafrani e per difetto di distanza e specialmente perché gli alberi generalmente non vi sono a simmetria disposti". L'Autore poi spiega: "Chi pone mente agli oliveti più antichi e a quelli che sembrano più disordinati, troverà ordine, direzione e simmetria nelle piante più annose, e tutto il contrario nelle piante più recenti; onde desumerà che il difetto è de' tempi successivi, per varie cause, tutte figlie dell'avidità del proprietario, che si studia sempre di avere un numero di alberi maggiore di quello che lo spazio non consente".
L'OLIO DI VENAFRO AI PIU' SCHIFILTOSI E RICCHI
Giovenale, scrittore latino nella satira sul ricco Virrone narrava che questi sulla squilla circondata da asparagi, versava olio di Venafro, mentre l'ospite sopra il suo gamberetto, misero uovo e cavoli versava olio lampante della Numidia che era portato a Roma dai discendenti di Micipsa:
"Ipse venafrano piscem perfudit: at hic, qui | pallidus adfertur misero tibi caulis, plebi | lanternam… " .
Q.F. Orazio, in una satira apprende dall'amico Cazio che in una cena è regola presentare due salse; una delle due deve avere per componente olio di Venafro:
"Val la pena di conoscere la qualità di due specie di salsa:una semplice che si compone d'olio fresco, da combinare con vino generoso e con salamoia , non diversa da quella che prese odore negli orci di Bisanzio: l'altra si ottiene facendo bollir questa con erbe triturate e sparsa di zafferano Coricio, lasciandola raffreddare, con l'aggiunta di olio d'oliva spremuto dai torchi di Venafro".
In un'altra satira, fa raccontare a Fundanio il pranzo che Nasidieno Rufo ha offerto a Mecenate. Esalta il sapore di una murena presa incinta che è contornata da granchi natanti in una salsa che ha tra gli ingredienti olio di Venafro, di prima molitura.
"Qui compare,disteso in un vassoio,una murena contornata di granchi natanti nella salsa questa (dice il padrone ) è stata presa incinta, perché, dopo il parto, la carne è meno gustosa .La salsa è composta di questi ingredienti: olio di Venafro, di prima spremitura; estratto di pesce dell'Iberia; vino di cinque anni , ma dei nostri paesi, versato mentre il tutto bolle".
Fundanio, suocero di M.T. Varrone incontra il genero alla festa della Sementa e discorrendo della dolcezza del nostro clima dichiara:
"Al contrario , in Italia, non v'ha cosa utile che non solo non vi nasca, ma che non riesca anche bene. Qual grano mai si potrebbe paragonare al grano della Campania? Qual frumento a quel dell'Apulia?Che vino al Falerno? Che olio al Venafro? E non è essa L'Italia tutta messa ad alberi da parer un pometo? N'è forse più abbondante di vino la Frigia, che Omero appella ricca di viti? O Argo, che lo stesso poeta dice polipira. Dove mai ogni iugero di terra fa 10 a 15 otri di vino, quanti alcune regioni d'Italia".
Si fabbricavano a Capua e Venafro profumi:
G. Cotugno riporta
"e con ragione i profumieri Capuani se ne servivano, per fare i loro preziosi unguenti di rose".
Per G. Morra erano presenti a Venafro opifici per l'estrazione di essenze floreali.
" Altra industria che sembra sia stata presente a Venafro fu quella dell'estrazione delle essenze dei fiori, che ebbe grande diffusione in Campania dopo che , nel 189 a.C., per ridurre le importazioni dall'Oriente, fu proibito il commercio di cosmetici di provenienza straniera.Essa, col tempo, dovè notevolmente progredire e la sua rinomanza diffondersi se Marziale,273 anni più tardi, componeva il seguente epigramma. ..."" Le olive del campano Venafro hanno distillato quest'olio per te: tutte le volte che tu prendi un unguento, ha anch'esso questo profumo".
L'OLIO DI VENAFRO: UN PRIMATO MONDIALE
Plinio, nella Historia naturalis fa una classifica dei migliori oli del mondo antico.
"A volerla bene intendere, la natura è stata in questo previdente, in quanto il consumo immediato del vino, nato per ubriacare, non risponde ad un'esigenza pratica, e anzi quella punta di svaporatura che il vino assume invecchiando invita a conservarlo; ella non ha voluto che si facesse risparmio di olio e ne ha diffuso, di conseguenza, l'impiego anche tra la gente comune. Anche rispetto a questa risorsa il primato in tutto il mondo lo ha ottenuto l'Italia, grazie soprattutto al territorio di Venafro, e a quella sua zona da cui si ricava l'olio liciniano, per cui è diventata di gran pregio anche l'oliva Licinia. A conferirgli questa preminenza sono stati i profumi, con i quali il suo odore lega bene, nonché il giudizio più raffinato del palato. 'Del resto nessun uccello becca le olive licinie. Il posto successivo in questa gara è ripartito a pari merito tra l'Istria e la Betica. Per il resto le province più o meno si equivalgono per la qualità del prodotto, se si eccettua il suolo dell'Africa, produttore di messi: la natura lo ha accordato tutto intero a Cerere; quanto al vino e
all'olio, si limitò a non negarglieli e gli procurò gloria a sufficienza coi cereali".
Alla fine del XVII secolo Benedetto e Giovanni Antonio Monachetti, nei loro lavori manoscritti " Storia di Venafro", nel capitolo "Oglio e Olivi", esaltano l'olio e la gestione degli oliveti, richiamando il geografo Strabone, (I sec. a.C.)
"E' questa città abbondantissima di ogni sorta di necessario all'umano vitto, soprattutto spande da ambedue i lati quasi due ali di abbondantissimi ulivi dai quali si raccoglie olio di fatturazione perfetta che secondo la testimonianza di antichi e moderni autori, non v'è migliore olio in tutto il regno del mondo. La testimonianza di Strabone dando il vanto di tutte le cose necessarie al vitto umano cioè il grano, vino e olio alla Campagna detta perciò Felice non ammette parzialità nel grano, nel vino vanta il Falerno, il Setino, Caleno, la preminenza dell'olio la restringe a quel di Venafro solo del quale va dicendo così "Venafrum unde oleum optimum".
Nel II secolo a.C., Marco Porcio Catone suggeriva nel Liber de Agricultura, , di applicare nella vendita delle olive la " Lex oleae pendentis" che aveva sperimentato a Venafro ove possedeva un oliveto di 240 iugeri (60 ettari)
" L'oliva si vende sulla pianta con questo contratto: "Si venderà dell'oliva sulla pianta in un fondo di Venafro. Chi comprerà l'oliva, oltre al prezzo pattuito, darà la centesima parte di tutta la somma all'esattore e il prezzo del presente bando che è di cinquanta sesterzi. Inoltre darà millecinquecento libbre di olio romano, duecento libbre di olio verde, cinquanta moggi di oliva cascola e dieci di oliva colta a mano: tutto misurando col moggio oleari".